Afrofobia: premessa L’afrofobia è l’insieme dei pregiudizi e comportamenti ostili nei confronti delle persone di colore o di ascendenza africana. Sono comportamenti messi in atto da persone con il colore della pelle più chiaro ì, che credono di avere il potere di stabilire cosa debbano essere coloro che hanno la pelle scura. Il colore della pelle diventa uno stigma che origina razzismo e altre forme storiche di ostilità (tratta negriera, schiavitù, colonialismo, fascismo, nazismo, segregazione e appartheid ecc.). Nonostante vari studi, l’afrofobia continua ad essere una delle modalità con cui si instaurano relazioni sociali e relazioni di potere. Le persone di colore devono quindi ricercare la propria identità, sapendo che le opzioni sono poche: cercare di negare di essere nero per diventare come il bianco, accettare di essere il nero che richiede il bianco, accettare di essere nero ma inventandosi un’identità diversa da quella imposta dal bianco, o rifiutare il binomio bianco/nero (perché questo avvenga il bianco deve rinunciare al suo potere/dominio e privilegio). Quest’ultima opzione è stata possibile solo quando bianchi e neri hanno dato scarsa importanza al colore della pelle per cercare di costruire un destino comune. Capitolo uno: razzismo schiavista 1.1 il marchio del disprezzo e l’invenzione del nero Il “nero” rappresenta un marchio di disprezzo inferto dai bianchi per esigenze di dominio economico, sociale e psicologico. Tutto inizia ai primi del ‘500, a seguito della conquista del Nuovo Mondo, quando le potenze europee decisero di renderlo economicamente vantaggioso installando un sistema di piantagioni che richiedeva un numero elevato di lavoratori abituati al clima tropicale, reperibili a prezzo basso e facilmente sostituibili. La scelta migliore per i bianchi colonizzatori sembra essere quella dei neri della costa occidentale africana, i quali dopo essere catturati, vengono stipati in navi in condizioni disumane e spediti nelle Americhe, dove verranno venduti come schiavi. Tutto ciò è la tratta negriera, che coinvolse circa 12 milioni e mezzo di africani (molti dei quali non sopravvive al viaggio). L’esigenza di continui ricambi di schiavi fa sì che per tutti i neri africani il marchio del disprezo sia sempre pronto, negando la possibilità di instaurare ricchi rapporti tra alcuni dei regni africani. Inoltre le autorità religiose in Europa approvano la tratta degli schiavi, a patto che il Nuovo Mondo non comporti l’islamizzazione (vengono ammessi i neri pagani). Essendo Spagna e Portogallo le nazioni cattoliche europee maggiormente coinvolte, il disprezzo per i neri assume una connotazione religiosa. In base ad una rilettura biblica, i neri africani sono considerati i discendenti di Cam, che una maledizione divina condanna alla servitù perpetua dei discendenti degli altri due figli di Noè: Sem (gli asiatici) e Jafet (gli europei). Anche con la conversione cristiana dei neri, ciò non cambierebbe il loro marchio, che resta un volere divino. In questo modo i bianchi inventano e impongono cosa sia il marchio “nero”. Dalla seconda metà del ‘600, viene imposto dai legislatori un altro marchio, attraverso l’adozione del Barbados Slave Code nel 1661, dei Codici degli schiavi nelle colonie inglesi e successivamente negli Stati Uniti, del Code Noir nelle colonie francesi. Si tratta di bollare lo schiavo come semplice bene commerciale di proprietà del padrone e lo considerano soggetto di diritto solo nel momento in cui commette un crimine o deve testimoniare contro un altro nero. A partire dalla metà del Settecento, con l’apice della tratta, i neri africani (schiavi e non) sono nuovamente vittime di marchiatura a causa degli illuministi come Voltaire, Kant e altri. Essi propongono un nuovo rapporto tra uomo e natura, l’umanità viene suddivisa in diverse varietà, razze, gruppi omogenei collocati lungo una catena (la razza nera viene geograficamente collocata in Africa, nell’anello appena superiore a quello più elevato del regno animale, quello delle scimmie). Il nero africano viene deumanizzato e considerato una variante della scimmia (per aspetti fisici, psicologici e la considerazione dei neri come animali selvaggi con forti pulsioni sessuali), per cui essendo quasi bestie, possono essere trattati come tale. Al nero viene inferto il marchio della non umanità, sostenuta da teorie sul poligenismo (convinzione secondo cui la razza umana abbia avuto un’origine separata: i bianchi discenderebbero da Adamo ed Eva, i neri da altri esseri, un po’ umani e un po’ bestie, creati da Dio ma relegati fuori dall’Eden). In base a questa convinzione, i bianchi giustificano il fatto di privare i neri delle caratteristiche di essere umano completo e quindi di poterli sfruttare. Altra convinzione dei bianchi a sostenere la scarsa umanità nel nero è la sua somiglianza alla scimmia, che lo renderebbe esteticamente brutto. Pertanto, una persona brutta esteriormente, è brutta anche interiormente (bruttezza trasmissibile e immutabile); quando è assegnata loro una qualche caratteristica umana, viene ribadita la loro profonda inferiorità morale. A causa delle specificità indicate dal naturalista Linneo e dall’enciclopedia di Diderot, scaturiscono numerosi pregiudizi e connotazioni negative contro i neri, frutto delle marchiature di disprezzo e utili per giustificarne lo sfruttamento. Altre motivazioni, definite come “razzismo di rispetto”, inculcano nei neri l’idea che con il trasferimento in America, hanno evitato di continuare a vivere in un continente dove avrebbero avuto un destino peggiore, quindi il nero deve essere contento di essere schiavo. Alla fine del ‘700, alcuni autori sostengono che gli schiavi vivano meglio dei lavoratori bianchi ed esaltano l’esotismo della vita tropicale dei contadini europei. Tutto ciò determina la supremazia bianca incentrata sul disprezzo nei confronti dei neri, funzionale all’esaltazione del bianco e alla giustificazione di ogni suo comportamento, questo disprezzo è alimentato da tre paure di fondo che rappresentano i presupposti dell’afrofobia e che si impongono anche nei confronti dei neri che hanno ottenuto la libertà. 1) Paura della ribellione: paura che coloro ai quali vine imposta la paura smettano di averne; paura tipica delle situazioni di dominio. Lo schiavo quindi vive in una situaizone di costante terrore, giustificato anche dalle legislazioni che ammettono/impongono l’utilizzo della violenza fisica purchè nn venga compromessa la capacità lavorativa (l’uccisione è giustificata solo dopo vari tentativi di fuga o di ribellione). Per evitare che lo schiavo voglia suicidarsi, darsi alla fuga o organizzare rivolte, i padroni utilizzano anche il terrore psicologico. Lo scopo è quello di infondere nello schiavo un complesso di inferiorità, il disprezzo di sé, la convinzione che quello che sta vivendo è la miglior cosa che potesse essergli offerta, affinchè accetti di sottomettersi incondizionatamente ed estirpi il desiderio di libertà. Questo complesso di inferiorità si radica maggiormente nelle generazioni che crescono nelle società schiavistiche e rende più facile al padrone evitare possibili alleanze. 2) Paura del mescolamento: le relazioni sessuali interrazziali erano considerate un tabù, regolamentate e proibite dalle legislazioni schiaviste. Nelle colonie si registravano numerosi casi di relazioni tra padrone bianco e schiava nera (quasi sempre si trattava di stupro impunito), giustificate dai bianchi come forme “utili” di prostituzione per permettere al bianco di sfogare i desideri sessuali e tenersi immacolato per il rapporto con la donna bianca. Queste giustificazioni però non valgono nel caso di relazione tra una donna bianca e un uomo nero, perché metterebbero in discussione il potere dell’uomo bianco, esaltando le paure connesse all’ipersessualità attribuita ai neri, di conseguenza veniva condiderata uno stupro. La maggior paura causata dal mescolamento è il meticciato, poiché è la manifestazione vivente di queste relazioni, che minacciano le rigide distinzioni razziali e la gerarchia tra razze. Per evitare il meticciato e creare un deterrente contro le relazioni sessuali interrazziali, le legislazioni schiaviste stabiliscono che i meticci ereditano la condizione di liberi o di schiavi da parte della madre (in genere schiave nere). Tuttavia sono molti i meticci che riescono ad affermarsi, fino ad arrivare a formare una classe sociale e razziale a sé, a volte raggiungendo condizioni economiche migliori di quelle dei bianchi poveri. I bianchi inculcano nei meticci l’idea dell’imbiancamento della pelle (più il nero ha la pelle chiara, più viene accettato e si sente parte della società bianca) determinando così una doppia gerarchia, razziale e socioeconomica. 3) Paura dell’uguaglianza tra i diritti tra cittadini dal diverso colore della pelle: gli schiavisti cercando di frenare le rivendicazioni di libertà. La libertà acquisita dai neri e meticci liberi non equivale all’uguaglianza sostanziale (il nero economicamente emancipato, anche se disprezzato, crea allarme perché rischia di mettere in discussione la supremazia bianca). Per impedire l’uguagliana vengono proposte due soluzioni: la segregazione e discriminazione (spesso supportata dalla legge stessa) e l’allontanamento dei neri liberi in un altro paese (per risolvere il mescolamento e rivendicare la purezza razziale). L’Inghilterra adotta questa misura per prima (caso Somerset 1772: gestisce sul territorio 15000 ex schiavi liberati che acquisita la libertà diventano poveri, successivamente vengono trasferiti in Sierra Leone, creata nel 1788 su un territorio acquistato nella costa occidentale africana che diventa colonia inglese nel 1808), anche negli Stati Uniti si segue la stessa politica (1822 l’American Colonization Society fonda in Africa la Liberia, diventando nel 1847 repubblica indipendente). 1.2 la lotta per la libertà e l’umanità Non si è ancora stabilito perché gli stati coinvolti nella tratta e nella schivitù decidano di abolirle, la critica a questa pratica comincia a farsi sempre più concreta. Negli ultimi anni del ‘700 proprio negli ambienti dove erano diffuse le marchiature di disprezzo, si diffondeva un sentimento cristiano che ritiene tutti gli uomini uguali davanti a Dio, anche tra gli esponenti dell’Illuminismo si diffonde una concezione laica di libertà individuale e dei diritti umani inalienabili. Questa nuova visione dell’uomo trova una formalizzazione nella Dichiarazione d’Indipendenza Americana (4 luglio 1776) e nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino (26 agosto 1789), ma i contenuti di queste dichiarazioni non riguardavano gli schiavi o i meticci. Nasce l’abolizionismo morale negli Stati Uniti, come critica alla supremazia bianca da parte dei bianchi, su iniziativa dei quaccheri e riesce piano piano ad ottenere risultati rilevanti solo in Inghilterra con l’azione della Società per l’abolizione della tratta degli schiavi di Londra nel 1787 (convinzione di base: una volta abolita la tratta, sarebbero venuti meno anche i motivi economici della schiavitù). Questa società si impegna, con una lotta non violenta, a convincere i bianchi a prendere atto della violenza commessa da una minoranza bianca; l’obiettivo è quello di attivare un movimento di pressione popolare sul Parlamento per creare un clima di reprimenda e di disprezzo sociale e religioso, imperniato sul senso di colpa. Della vittima viene data una visione umana compassionevole, per dimostrare la gravità della situazione, vengono proposte prove (strumenti di tortura, pubblicazione di autobiografie di negrieri pentiti o ex schiavi). Solo dopo venti anni di costanti lotte, il 25 marzo 1807 viene approvato lo Slave Trade Act che abolisce la tratta a partire dal 1 gennaio 1808. L’Inghilterra diventa quindi il primo paese europeo impegnato a debellare la tratta dal mondo attraverso un’intensa attività militare e diplomatica. Il parlamento approva nel luglio 1833 lo Slavery Abolition Act, che prevede a partire dal 1 agosto 1834 l’abolizione della schiavitù dell’impero ma con due vincoli: - agli ex padroni viene riconosiuta una indennità lo schiavo potrà aspirare alla piena libertà solo dopo sei anni di apprendistato Nel 1839 a Londra viene istituita la Anti-Slavery Society per abolire la schiavitù negli altri paesi. La lotta contro la tratta e la schiavitù è anche condotta dai neri stessi attraverso varie forme di resistenza per ridare dignità umana e sociale: resistenza culturale, fughe e rivolte di massa (minano il sistema di dominio economico, sociale e psicologico). Fughe collettive degli schiavi > davano vita a comunità autonome, l’obiettivo è quello di raggiungere l’abolizione. Le fughe di massa a volte venivano organizzate e promosse da una delle parti in lotta per indebolire l’avversario sul piano economico e militare, offrendo come ricompensa agli schiavi la libertà. Ciò avviene negli Stati Uniti durante la Rivoluzione americana e nella Guerra civile (Lincoln con il Proclama dell’emancipazione garantiva la libertà dal 1 gennaio 1863 agli schiavi degli stati confederati che riescono a raggiungere gli stati dell’Unione). L’unica realtà in cui la schiavitù viene abolita a seguito di una rivolta armata di massa è Saint-Dominique, la parte francese dell’isola caraibica di Hispaniola (Antilles). Moltissimi schiavi inizialmente ottengono la libertà non solo per le rivolte violente, ma come contropartita offerta da Parigi in cambio della loro partecipazione militare contro l’invasione dell’isola da parte di spagnoli e inglesi. Il 4 febbraio 1794 la Francia rivoluzionaria è la prima potenza ad abrogare formalmente la schiavitù senza prevedere indennizzi per i proprietari. Tuttavia, Napoleone Bonaparte ripristina la schiavitù nel novembre 1799, contro una decisione (abolire la schiavitù nella parte spagnola dell’isola senza richiedere l’autorizzazione) presa da un ex schiavo François Dominique Toussaint detto Louverture (aveva invaso l’isola e si era autoproclamato governatore generale a vita). Napoleone deciso a restaurare il potere bianco nell’isola, invia un’armata e dopo aver sconfitto Louverture, il 20 maggio 1802 reintroduce la schiavitù in tutte le colonie francesi; reprime a Guadalupe la rivolta e il 16 giugno 1802 stabilisce che il titolo di cittadino può essere conferito solo a chi ha la pelle bianca, abrogando così i diritti politici acquisiti in dieci anni da moltissimi meticci e neri liberi e rende difficili i matrimoni interraziali. Tutta la situazione fa divampare la rivolta a SaintDominique con alleati i neri e meticci guidati da Dessalines; la situazione si volge a favore dei rivoltosi a causa delle epidemie che decimano le forze dei militari francesi, i quali sono costretti a evacuare per occuparsi di altre guerre che stavano scatenandosi tra Francia e Inghilterra. Il 1 gennaio 1804 Dessalies abroga la schiavitù e proclama l’indipendenza di Saint-Dominique, che diventa la prima Repubblica di Haiti (la prima nera, hanno dimostrato capacità di auto-emancipazione tanto da stimolare richieste di maggiore libertà e ispirarono fughe e rivolte soprattutto nei Caraibi e Stati Uniti). Schiavisti > le vicende haitiane alimentano la paura della ribellione dei neri e confermano che gli schiavi sono selvaggi per cui è meglio controllarli severamente. Il tema del rischio di una rivolta di massa degli schiavi nel caso non venga abolita la schiavitù, viene molto utilizzato dall’abolizionismo militante che si afferma negli Stati Uniti, avendo come artefici neri e meticci liberi che si rivolgono agli schiavi per renderli protagonisti della propria liberazione in nome di una lotta comune. A partire dal decennio successivo inizia ad affermarsi “la prima generazione della rivolta nera”, ne fanno parte il pastore presbiteriano Garnet e l’ex schiavo mulatto Frederick Douglass (pubblica la sua autobiografia, fonda il primo settimanale abolizionista, intraprende una carriera politica continuando ad appoggiare il movimento per l’uguaglianza dei diritti delle donne). Con la Guerra civile (1861-1865), il Proclama dell’emancipazione riguardava solo la liberazione degli schiavi degli Stati confederati e non di quelli dell’Unione, gli abolizionisti militanti richiedono l’arruolamento militare degli schiavi dell’Unione ma anche dei neri liberi > l’abolizionismo militare assume i connotati di abolizionismo combattente. Il loro contributo è fondamentale poiché il 6 dicembre 1865 con l’approvazione del XIII emendamento alla costituzione vengono liberati 4 milioni di schiavi. Gli integrazionisti si oppogono nettamente alla politica di allontanamento e alle prime ipotesi di nazionalismo nero separatista > l’unica soluzione possibile è il trasferimento volontario dei neri in una nazione nera (Niger). Capitolo due: razzismo coloniale 2.1 missione civilizzatrice, decandenza e rivalsa bianca A seguito della liberazione di moltissimi schiavi e a seguito dei numerosi processi di indipendenza di molte ex colonie nelle Americhe, il razzismo entra in una nuova fase e si sviluppa in: - - modalità espansiva: esalta ancora di più la supremazia dei bianchi e ricerca nuovi neri da sfrttare con forme apparentemente diverse da quelle schiavistiche, andando a “marchiarli” in Africa attraverso una vera e propria occupazione in cambio della presunta esportazione di civiltà e progresso, che pretende l’asservimento economico della madrepatria modalità difensiva: modalità afrofobica, che utilizza la paura e il rancore per ridefinire l’identità bianca, per negare i diritti acquisiti dagli ex schiavi. Entrambe le modalità vedono il nero come soggetto non pienamente umano. Tutto ciò è appoggiato dalle tesi del determinismo biologico, che fa della razza biologica il principale elemento per classificare gli individui e interpretare le relazioni sociali. La razza nera viene inchiodata al gradino più basso della gerarchia razziale senza possibilità di ascesa, e ogni mescolamento razziale è considerato portatore di degenerazione. Di conseguenza si diffonde una spasmodica ricerca scentifica delle caratteristiche fisiche immutabili, ereditarie e misurabili, idonee a differenziare l’umanità in razze e a ribadire la superiorità della razza bianca (si osservavano i crani, cervelli e tutte le caratteristiche particolari dei capi). Il riferimento alla razza biologica si impone anche nella politica e nella legislazione. La razza più comunemente viene “identificata” in base al colore della pelle. La gerarchia razziale viene sostenuta dalla teoria della ricapitolazione sviluppata nel tardo ‘800 che diventa la teoria generale del determinismo biologico. La modalità espansiva della supremazia bianca assume una declinazione particolare in Europa, dove gli stati nazionali rivendicano omogeneità razziale che viene rintracciata in una lontana origine e spesso mitizzata, dove ovviamente sono esclusi i neri e meticci. Con “razza” non si intendono solo i connotati biologici, ma rimanda ad elementi mistici e spirituali e chiama in causa la civiltà che, essendo per natura multiforme e meticcia, viene “purificata” e presentata come nazionale, europea e bianca (ritenuta sempre superiore poiché considerata come l’unica ad aver apportato il progresso nella storia umana e considerata l’unica ad assicurare sviluppo futuro dell’umanità). La civiltà/razza bianca a metà ‘800 si sente investita da una missione civilizzatrice con un suo “destino biologico”, in quanto superiore deve conquistare e opprimere le altre razze meno civili, poiché inferiorie a rischio di estinzione. Ci troviamo di fronte ad una nuova fase di colonizzazione, che ha come obiettivo quello di occupare l’Africa, considerato un continente ancora libero, ricco di risorse naturali, abitato da popoli selvaggi su cui pesano le marchiature inferte nei secoli. A seguito della Conferenza di berlino (1885), le potenze europee confermano e avviano una rapida occupazione e spartizione dei territori africani, in cui vengono ridefiniti i confini: nel 1900 il territorio colonizzato er il 90% e gli unici paesi indipendenti erano la Liberia e l’Etiopia, si tratta infatti dell’apoteosi della supremazia bianca europea. Agli africani vengono espropriate con la forza o l’inganno le terre più fertili e viene imposto il lavoro forzato e un sistema di tassazione. Questa missione civilizzatrice trova anche l’appoggio del papa Leone XIII con due encicliche (la prima del 1888 nella quale si schiera contro la schiavitù considerata contro natura; la seconda nel 1890 nella quale appoggia ed elogia l’opera di civilizzazione poiché promuove l’evangelizzazione). La colonizzazione avviene con un importante ricorso alla violenza che spesso porta allo sterminio (caso degli Herero che si erano ribellati contro i tedeschi dell’Africa tedesca del sud ovest; caso dello Stato Libero del Congo, proprietà privata del re del Belgio Leopoldo II). La violenza viene giustificata in nome del progresso (caso del 1865 a Morant Bay in Giamaica –ex colonia inglese- era scoppiata una rivolta per rivendicare maggiori diritti ai neri e viene sedata con una dua repressione e vendetta > rivolta interpretata come la dimostrazione che l’emancipazione sia un fallimento e tutti i neri sono pericolosi e inapaci di essere cittadini responsabili). Si diffonde il “razzismo difensivo” con esponente Gobineau, vede il mescolamento razziale e il conseguente metticciato come motivo di inevitabile decadenza della razza bianca (considerata come il ceppo teutonico destinato a dominare, si contraddistingue per l’amore per la libertà, l’onore e la spiritualità). Per Gobineau, il meticciato non è un fenomeno limitato alle relazioni sessuali, ma è un fenomeno sociale di massa che interessa le tre razze (bianca, gialla materialista e portata al commercio ma incapace di esprimere concetti metafisici, nera che ha spiccate capacità sensoriali ma modeste capacità intellettive). Gobineau si dichiara contrario alla colonizzazione; a sostegno della sua tesi teme la decadenza per la razza bianca: il tema della paura della decadenza razziale è uno dei pilastri del razzismo afrofobico. Altri teorici delle razze, arrivano ad elaborare politiche di protezione delle razze superiori e la proibizione di incroci con razze inferiori. Alla fine della Guerra civile, soprattutto negli Stati del sud, si diffonde un razzismo di tipo difensivo: tra il 1865 e il 870 vengono approvati tre emendamenti (XIII, XIV, XV) che mettono fine alla schiavitù, riconoscono il giusto processo e la parità di protezione e il dirito di voto ai neri. Vengono emanati altri decreti, Civil Rights Acts, tra il 1866 e 1875 che garantiscono ai neri la cittadinanza (se nati negli Stati Uniti) e l’uguaglianza nei diritti, anche quello relativo al trattamento nei luoghi pubblici. Gli Stati del sud erano decisamente riluttanti a tutte queste iniziative a favore dell’emancipazione dei neri, per cui il governo federale a partire dal marzo 1867 impone il regime militare e dà inizio al periodo di Ricostruzione (esempio di antirazzismo istituzionale). Questa politica prevedeva misure di supporto all’integrazione degli ex schiavi, ritenendo le loro difficoltà socioeconomiche e nell’istruzione, dovute a oltre due secoli di schiavitù. Tutto ciò viene interpretato dai bianchi del sud come la volontà del governo federale di imporre l’uguaglianza e di offendere l’onore e voler umiliare il sud (poiché istituisce un modello di vita opposto a quello vigente prima della Guerra civile e della fine della schiavitù). I “nemici del sud” non solo quindi solo i neri e i meticci, ma sono anche coloro che si adoperano per la loro integrazione egualitaria. A rivendicare il ruolo di “giustizieri” nascono diversi gruppi, il più famoso è quello del Ku Klux Klan (società segreta fondata nel 1865), il cui obiettivo esplicito è la supremazia della razza bianca e la purezza di sangue, i bianchi dovevano conservare i loro privilegi. Il KKK ricorreva anche ad intimidazioni e violenza che provocava centinaia di morti neri, spesso a seguito di linciaggi giustificati con l’accusa di aver commesso violenza sessuale nei confronti di una donna bianca. La paura del mescolamento diventa ossessione e gustificazione di violenza più truce. Il KKK si propone anche come organizzazione di supporto ai bianchi poveri e a quelli colpiti da un mandato d’arresto per aver ucciso un nero. Il governo federale considera il KKK un gruppo terroristico illegale e ne ordina lo scioglimento. Tuttavia, le istanze razziste del KKK sono tipiche di gruppi razzisti e violenti ma anche del partito democratico. Nel 1873, la Corte Suprema sancisce che il XIV emendamento vale solo per le azioni degli stati e quindi la discriminazione razziale è ammessa se a praticarla sono semplici cttadini o organizzazioni private. Nel 1877 il partito repubblicano, pur di far eleggere alla Casa Bianca il proprio candidato, accetta di ritirare le truppe federali negli stati del sud. È la fine della Ricostruzione e l’avvio della nuova fase di razzismo, in cui la rivalsa bianca diviene governo, un governo che cerca di negare i diritti acquisiti dai neri, attraverso una politica incentrata sul rendere loro impossibile il diritto di voto, permettendo intimidazioni e le violenze dei gruppi razzisti, dando un’interpretazione razziale alla sequenza della Corte Suprema del 1898, secondo cui le legislazioni statali potevano introdurre i requisiti per partecipare alle elezioni (test di alfabetizzazione, tasse sul voto, penalizzando i bianchi poveri e i neri). A sostegno dei bianchi la Louisiana approva la clausola del nonno (consentono il voto anche a chi, non avendo i requisiti, dimostra di aver avuto antenati con diritto di voto prima della Guerra civile –solo ai bianchi), con la conseguenza che gli elettori neri diminuiscono drasticamente. Viene inoltre messa in atto la “sostituzione razziale” garantendo l’arrivo di una massiccia immigrazione europea bianca (anglo-sassone e protestante); dal 1820 al 1914 giungono negli Stati Uniti oltre 30 milioni di immigrati europei. Nonostante i nuovi immigrati bianchi e i cittadini neri siano spesso tra le vittime dei fautori del nativismo (rivendicato dai discendenti bianchi dell’antica stirpe colonizzatrice), spesso attaccano i neri non solo per la concorrenza di lavori di manodopera non qualificata, ma anche per motivi razziali, con la conseguenza che i neri rimangono nei posti più bassi del mercato del lavoro o abbandonano in massa intere ittadine. Le leggi Jim Crow, sono leggi statali e locali che hanno lo scopo di ripristinare la segregazione razziale > slogan “separati ma uguali” ritenuto conforme al XIV emendamento perché garantisce a tutti i cittadini, pur se in maniera separata, la giusta protezione e la tutela dei diritti. Ai cittadini neri viene imposta una realtà quotidiana di segregazione (evitare il contatto con i bianchi, nei servizi e nei luoghi pubblici). I servizi riservati ai neri sono giustificati ricorrendo a pregiudizi negativi. La supremazia bianca diviene la matrice di interpretazione ufficiale della storia nazionale, basata sul riconoscimento dell’operato del KKK e sull’inferiorità nei neri. 2.2 panafricanismo e personalità africana Il passaggio dall’abolizionismo ad un antirazzismo inteso come riconoscimento dell’umanità del nero, è ostacolato dall’egemonia scientifica e culturale del determinismo biologico e dal consenso della missione civilizzatrice. Negli ultimi anni dell’800 si hanno due novità: - - si delinea un antirazzismo proposto da alcuni studiosi (bianchi) che mettono in discussione il concetto di razza o della sua centralità nell’analisi dei fenomeni sociali. Viene contestata la stabilità evolutiva dela maggior parte dei caratteri antropometrici, centrale per i teorici delle razze: “ non vi è relazione tra razza e cultura; non si può accertare un rapporto tra razza e personalità. Il concetto razziale della letteratura scientifica è fuoriviante e richiede una nuova definizione logica e biologica” > basi per una critica scientifica al razzismo alcuni studiosi e leader neri (delle Americhe) riprendono e rielaborano l’esperienza dell’abolizionismo militante statunitense, che aveva unito alla lotta per la libertà e l’uguaglianza anche la ricerca e la rivendicazione di una comune identità nera. Questa identità viene ricercata tra tutti i neri della diaspora (vivono fuori dall’Africa) e i neri africani. Il riferimento è alla razza nera propria del determinismo biologico alla quale viene assegnata una connotazione storica, sociale e politica e vengono negati i pregiudizi negativi ad essa connessi e alla sua inferiorità rispetto alla razza bianca. Emerge il panafricanismo, che rivendica l’unità di tutti i neri a partire dalla condivisione di forme di oppressione basate sul colore della pelle da cui è possibile liberarsi solo attraverso una lotta comune. Il panafricanismo rivendica le comuni radici africane di tutti i neri, recise dalla tratta negriera. L’Africa diventa la “Terra-Madre” di tutti i neri, la culla dell’umanità e della civiltà, è fonte di fierezza del nero della diaspora soprattutto per superare il complesso di inferiorità di cui è ancora vittima e in opposizione alla missione civilizzatrice. Uno dei primi tentativi di dare vita ad una comunità politica nera internazionale è la Conferenza panafricana dell’African Association nel luglio del 1900 a Londra; lo scopo è quello di discutere dei problemi dei neri sia nelle colonie, che nelle altre realtà dove è presente la discriminazione razziale. Viene poi fondata la PanAfrican Association che approva un “appello alle nazioni del ondo” e invita i capi di stato a impegnarsi nel riconoscere i diritti degli afrodiscendenti e a rispettare l’integrità e l’indipendenza degli Stati neri liberi (Etiopia, Liberia, Haiti ecc.). Il panafricanismo è un’ideologia di riferimento per i neri, è una rivendicazione di una comune identità nera (in Africa assume una variante nazionalista, dove l’aggressione coloniale viene contrastata ricorrendo alle rivolte armate, alla non collaborazione). In questo contesto si afferma una consapevolezza nera proposta dalle chiese cristiane africane (Chiesa Etiopica), attraverso una reinterpretazione della Bibbia, viene rivendicato un rapporto diretto degli africani con Dio, escludendo i bianchi. Queste chiese “profetiche” mantengono un forte legame con la religione tradizionale e criticano la situazione coloniale, sperano nella salvezza e nella liberazione terrestre, nel ritorno alla giustizia e alla terra degli antenati. All’interno del movimento panafricanista c’è chi propone una “personalità africana” (coniata da Blyden nel 1893) per esprimere un complesso di valori propri della civiltà africana contrapposta con quella dell’uomo bianco; Blyden fa riferimento alle teorie delle razze sviluppate in questi anni e cerca di riprendere i temi principali per ribartarli; Blyden parla della decadenza della razza bianca (considerata individualistica, materialistica, competitiva fondata su scienza e tecnologia) e contrappone la civiltà africana (fondata su un sistema cooperativo e rispettoso). La civiltà bianca è destinata a cadere a causa delle sue invenzioni distruttive, mentre la civiltà africana è portatrice di una missione storica, è un “serbatoio” a cui la civiltà bianca dovrebbe attingere per i valori necessari al riscatto umano. Blyden condanna l’imperialismo sfruttatore, ma ritiene possibile i contatti con i bianchi fondati sul rispetto; si fa promotore di un “panafricanismo di ritorno” invitado i neri a tornare in Africa. Egli difende anche la purezza degli africani, la vera personalità africana si esprime la dovevi È stato meno influsso della civiltà bianca, dichiarandosi contrario al meticciato tanto da rifiutare di partecipare alla conferenza di Londra del 1900 proprio per la presenza di meticci (mixofobia). Il tentativo di creare una unitaria e solidale comunità nera è alla base del panafricanismo un'importante epicentro negli Stati Uniti (grazie ai diritti acquisiti per la Ricostruzione, permettono Un elevazione razziale era formazione di uno spirito di solidarietà razziale Nazionale che trova riscontro in campo imprenditoriale, educativo e in alcuni movimenti religiosi neri). Con la fine della Ricostruzione e l'avvio del razzismo basato sulla rivalsa bianca del modello separati ma uguali, la comunità nera individua quattro possibili strategie di integrazione: partecipazione politica dei neri per compattare l'elettorato nero e schierarsi con il partito repubblicano (elezione di alcuni meticci). Strategia lavoristica proposta da Boocher T. Washington (nato schiavo ma emancipato e fondatore di un importante istituto di istruzione tecnico professionale per neri), asserisce che la priorità dei neri è avanzare economicamente, Washington presenta i cittadini neri come lavoratori non politicizzati (per contrastare il maggiore inserimento sul mercato del lavoro degli immigrati europei). la sua strategia è considerata come una resa alla segregazione razziale e a una cittadinanza di seconda classe (non fa diminuire l'ostilità dei bianchi). la strategia elitaria è proposta dal sociologo meticcio Du Bois (il primo nero a ricevere un dottorato di ricerca all'Università di Harvard e diviene poi docente all'Università della Pennsylvania), è uno dei punti di riferimento del Congresso di Londra del 1900. Per lui è fondamentale che i neri statunitensi lottino per i diritti civili e formino un intellighenzia idonea a lottare (si richiede come base un'istruzione superiore adeguata soprattutto nelle arti liberali). É convinto che i neri abbiano un ruolo fondamentale negli Stati Uniti, un destino che però viene negato dai bianchi, questa negazione obbliga il nero ad una doppia coscienza: costretto a comportarsi a volte come bianco e a volte come nero, come se fosse due persone diverse. la strategia giudiziaria viene elaborata dal Niagara Movement che si propone come movimento guida per i diritti civili e che nel 1909 si evolve nella NAACP (Associazione Nazionale per la promozione delle persone di colore). É una delle prime e più influenti associazioni interrazziali attiva nella difesa legale e politica dei diritti civili dei neri (nel 1915 riesce a far abolire le clausole del nonno). Nel 1910 viene creato il periodico Crisis che valorizza la cultura nera, denuncia la violenza dei bianchi e promuove una campagna di mobilitazione. 2.3 Il caso Italia: un’appartenenza razziale indefinita A seguito della proclamazione del Regno d'Italia (1861), l'appartenenza razziale degli italiani appare indefinita e contraddittoria. Da una parte c'è la consapevolezza di un passato multi e misti razziale, che non ha dato origine alla costituzione di una comunità nera unitaria, dall'altra parte le classificazioni razziali egemonizzano il dibattito europeo e vedono gli italiani appartenenti alla razza caucasica, ma per storia e per posizione geografica, vengono associati alla sottospecie mediterranea, una tra le meno sviluppate. Il fatto di essere la culla della civiltà europea, (es. periodo dell'antica Roma) ha molta poca rilevanza per via della decadenza a cui era andata incontro la civiltà italiana, differenziandosi così tra razza mediterranea e razza nordica (processo di selezione naturale che aveva favorito anche la depigmentazione), gli italiani sarebbero quindi caucasici e bianchi di serie B. Solo con la prima esperienza coloniale nel Regno e con l'istituzione della colonia Eritrea del 1890 (il primo significativo contatto diretto con una popolazione nera), si va a determinare la prima contrapposizione razziale e razzista tra bianchi superiori e neri inferiori. Questo binomio viene messo in discussione a causa delle sconfitte militari in Africa, come la sconfitta ad Adua il 1 marzo 1896, che mette fine temporaneamente all'espansione militare verso l'Etiopia e rappresenta la prima sconfitta subita da un popolo bianco da parte di un popolo nero (elemento che conferma che gli italiani non appartengono completamente alla razza bianca). Si diffonde la paura della ribellione, chiamata “fantasma di Adua”, il timore di essere nuovamente sconfitti da popolazioni considerate inferiori. La retorica patriottica prova a trasformare questa paura in pregiudizi razzisti, attribuendo le sconfitte non agli errori militari, ma alla malvagità dei neri. In Eritrea viene mantenuta una colonizzazione basata su paternalismo e spietatezza e un'interpretazione particolare del mescolamento del meticciato (divieto ai meticci di svolgere attività di agenti coloniali). Secondo gli antropologi di fine ‘800, gli italiano apparterrebbero a due razze diverse, corrispondenti a “due Italie” (al nord e fino al Tevere > arii; sud > mediterranei), frutto di diverse invasioni che avevano interessato la penisola dai tempi preistorici. Secondo Sergi, una di queste invasioni proverrebbe dall’Africa, così gli italiani del sud sarebbero discendenti degli africani; i settentrionali, prendendo come punto di riferimento il progresso economico, sarebbero la razza italiana superiore. Per gli studiosi italiani, quasi tutti socialisti, la soluzione sarebbe il mescolamento tra meridionali e settentrionali. Le autorità dei paesi d’arrivo degli emigrati italiani, soprattutto gli Stati Uniti, li ritengono appartenenti alla razza bianca, ma vengono definiti “non palesemente neri” (in Louisiana i figli di italiani non possono andare a scuola con i bambini bianchi, i figli di coppie miste vengono considerati neri); altra dimostrazione di una non piena appartenenza alla razza bianca è la disponibilità degli italiani nei confronti dei neri (molti italiani venivano linciati dai razzisti bianchi). Il dibattito sull’appartenenza razziale degli italiani è reso confuso anche dal radicato antirazzismo di stampo risorgimentale: si basa sul nazionalitarismo mazziniano, appoggiava l’idea di una nazione e di identità nazionale libera dall’oppressione straniera